ScoglieraViva è un concorso storico unico nel suo genere, perchè vede come protagonisti interventi diretti di scultori sulla scogliera del borgo storico di Caorle Venezia.
Porzione di una figura angelica, che porta l’autrice a sentire l’amore di chi pur non c’è più e a farle dedicare quest’opera a tutti coloro che antepongono il cuore all’interesse..
L’autore nella sua scultura immagina un tragico fatto di cronaca scoperto in fondo al mare (o in un modesto forno di campagna) e visto con uno sguardo ironico, atto a esorcizzare la paura pur non distraendo il passante.
Nata nelle profondità marine, una sirena affiora in superfice, attratta dal brulichio della vita degli umani. E’ un istante: la sua lunga coda scompare per lasciare posto a due lunghe, lunghissime gambe.
Con questa forma e queste linee, che partono da un nucleo di acciaio, l’artista crea quell’energia positiva che, insinuandosi in noi, ci accompagna benignamente nel divenire.
L’opera di Togo è un paesaggio marino che, con i quattro simboli del sole, del mare, della palma e della barca, ha evidenziato il rapporto ancestrale con i paesaggi del Sud d’Italia e dei luoghi nei quali l’autore è cresciuto.
L’artista con la sua scultura ha voluto creare linee di forza e sintesi di piani, imprimendo alla forma il movimento tipico delle dinamiche futuristiche, allocandole in una dimensione senza tempo.
La forma compiuta emerge chiara dallo scoglio che l’ha ispirata. Immersa nella marina, vive opposta alla luce.
Ispirandosi a Mondrian, l’artista, con le sue linee, piani, volumi e geometrie, ha voluto indagare gli spazi che nella pietra si articolano in pieni e vuoti, in chiari e scuri e in varie campiture.
L’artista, arrivata a Caorle con un altro progetto, dopo aver visitato la chiesetta dell’Angelo, si è sentita quasi costretta a dare agli scogli la Madonna che con il suo manto protegga la città dall’impeto del mare
Scultore, oltre che famoso flautista, ha voluto con questo scoglio creare un tramite tra la musica e il mare, sì da svelare qualcuno dei loro misteri.
Con terra mare e cielo ha voluto creare un forma primordiale inneggiante alla pace e all’armonia tra gli elementi della natura.
Con Embrione ha colto il momento in cui la scultura si stacca dalla matrice e contemporaneamente ne è risucchiato da un cambiamento incessante e necessario alla vita.
Con le tre lune ha voluto far riviere nella pietra l’esperienza interiore di un’anima stupita di fronte al nostro mare.
Dall’ultima propagine di terra l’uomo si è sempre spinto verso il mare, simbolo perpetuo del non conosciuto. Questo suo blocco, portato a rappresentare lo scambio di lotta tra uomo e mare, è un omaggio a Caorle, da dove, mentre lo scultore creava, immaginava la propria terra, l’Istria, altro “finis terrae”, oltre il Golfo di Trieste.
Innumerevoli specie di esseri viventi cessano la loro esistenza ricoperti da un orrendo manto nero, vittime di catastrofi ecologiche e dell’egoismo dell’uomo. Da qui un suo antico nautilus riemerge dalle oscurità come monito e testimonianza di ciò che l’uomo, consapevole e non, provoca alla natura.
L’artista ha usato appunto una barca come base di partenza della sua idea artistica. Essa è il simbolo del viaggio, mobilità e ricerca della verità. Il viaggio è sempre imprevedibile e attraverso la forma della sua scultura e le varie testure Maša cerca di rappresentare l’intimità di ognuno di noi verso le direzioni che le nostre vite possono prendere.
L’Artista si domanda del perché delle cose…. del succedersi degli avvenimenti negativi prima della catastrofe universale e caotica. La scultura di Ronzat è un monito positivo per la salvaguardia dell’ambiente storico/agreste di Caorle. E’ una chiave di lettura di forte impatto ambientale ora incontaminato dal…..Volo di gabbiani verso l’infinito.
La sua pietra lascia immaginare una forma femminile (quasi un simbolo del suo lavoro), dove la sua essenza organica è nutrita dalla vicinanza del mare e la femminilità dal calore del sole
La scultura vibra in un confronto tra la forma e la non forma, finchè il diverso si trasforma in una realtà mediatica dai poli rovesciati e la vita irrompe dalla terra all’infinito.
La scultura è una conchiglia pensata per l’acqua quale simbolo di vita. Al suo interno un cuscino scolpito si riempie d’aria e di energia vitale e invita i passanti a sedersi e a meditare. Qui la “Conchiglia” è ad attendere che le onde la coprano, quasi per rimpossessarsi della forma primordiale che hanno generato.
Fronte ampia, sguardo enigmatico dalle orbite infossate. Capelli come lembi dell’anima. Questa figura, sottendendo arcane presenze, si proietta quale custode del tempo a testimonianza del presente.
Da sempre il Faro è testimonianza dei naviganti, ma qui diventa vivo e quindi bisognoso di un rifugio. Ecco quindi creato un attracco – una bitta - per il … faro, a ringraziamento per la sua esistenza.
L’artista ha voluto riportarci alla maestosità della natura, evocata da profumi di bivacchi, da immagini di fuochi accesi e da vite di popoli migranti.
La scultura, ispirata ai quadri del suo periodo geometrico, con movimenti, contrasti e ondulazioni ottenuti nella roccia con abile testura, fra lucidature gradinature e bocciardature, richiama le onde e le increspature del mare, scandite da ritmi geometrici.
L’artista qui si rifà all’arte degli etruschi mediata dall’amore per la letteratura classica e la ensibilità di donna del nostro tempo. Il sole e la luna, amanti da sempre, si rincorrono nel cielo, finché, quando si incontrano, per discrezione eclissano la luce.
Il suo lavoro è una storia fatta di ricordi, dove i segni vengono trasformati in simboli, che infrangono le barriere tra il figurativo e l’estratto, tra materia e spirito, tra arte sacra e concezione sacrale dell’arte.
L’Artista, giovane sloveno, ha voluto creato una rappresentazione ottica del mare in burrasca con il movimento delle onde e il riflesso del sole sull’acqua.
Anello di congiunzione tra mare – terra e sfera celeste, l’opera, composta di forme circolari, dà origine a un’elisse aperta contenente nove punti della Costellazione dei pesci. In alto una spirale simboleggia il perenne ciclo dell’acqua.
Alla pietrificazione dello sguardo non corrisponde la fine, ma la corona del coccodrillo – vita nel sogno della Gorgone.
Nel morbido accartocciare della pietra, l’artista ha voluto crearle la pelle, quale evento organico per un sasso che vuole vivere.
La scultura rappresenta il volo di un fossile nell’atto di tornare a nuova luce: metafora del desiderio di aspirazione verso l’alto di spiritualità e trascendenza.
Il procedimento come taglio lineare, modanatura antica sul frontone piano, perché il muro – roccia può anche essere tempio.
Che coniugando l’arte ancestrale della sua terra (lo Zimbabwe) con gusto occidentale, ha saputo trarre dallo scoglio una solida famiglia dove l’amore si sviluppa in un susseguirsi di segni intrecciati e pur continui.
Ha scelto lo scoglio più grande per dare quella percezione di serenità alle sue due figure prone (amanti) lambite dalle onde del mare: onde che si formano lontano e sconosciute si rompono sulla battigia.
In questa pietra ha portato alla luce dei fossili, quasi fossero stati racchiusi dallo scorrere ineguale del tempo, dandoci la memoria di frammenti di una quotidianità lontana e di una vita che si ostina a essere.
Disegna lo spazio in una forma armonica, in un movimento semplice, ma intenso, riducendo la massa, incrementando i giochi di luce e liberando lo scoglio via via dei vari piani descrittivi fino a farlo divenire pura sigla.
Pensando al concetto di uomo tempo ha creato nel suo scoglio un bassorilievo di una estenuante corsa, metafora del percorso dell’uomo, obbligato al difficile tentativo di attraversare le porte della percezione, al fine di ritrovare se stesso.
Conosciuta in Francia per la plasticità dei sui interventi scultorei, ha voluto creare una “donna seduta”, dove la voluttuosità della forma, quasi sbalzata dalla roccia, rappresenta l’abbraccio amorevole a tutta l’umanità fin dai primordi del tempo.
Ha voluto fare un omaggio alla città di Caorle dandole uno dei sui simboli, “la caorlina”. Una caorlina ritrovata, quasi reperto archeologico, immaginifica, dove le forme, esatte, vengono trasfigurate dalla maestria dell’artista.
Ha pensato ad un soggetto “vivo”, momentaneamente assopito in una posa da rispettare. E chi più di un bambino può essere abbracciato dall’amore della scogliera, dalla quale pare essere avvinto. E la scultura, puntigliosa, esatta, quasi maniacale fa ormai parte di un tutt’uno al quale sarà legata nel corso del tempo.
Creando una sintesi tra umanità e tecnica e dando un senso positivo alle nostre insicurezze, ha creato una “bi-lite”, che quasi si fronteggia e si divide, ma che viene stre tta in un abbraccio, a simbolizzare la realtà che tutti viviamo.
Sviluppa un’indagine tesa al recupero di società arcaiche, trasferendole in una sorta di linguaggio morse di linee e punti, che ricorda lo schermo di un computer. E’ “Linguaggio tecnico” il titolo di quest’opera divisa in due parti, quasi l’una sia ripetitrice dell’altra.
In un gioco di positivi-negativi, di ombre e luci ha dato vita alla materia creando un corpo morbido – “Radici” –còlto in un languido risveglio, che trasuda una femminilità indifferente allo sguardo, perché lei stessa persa nello stupore dell’infinito. E a questa illusione danno forma la perfezione delle linee e la forza dei segni, mai casuali.
Nel suo monolito, dal titolo “Stele celeste”, ha fuso l’ancestrale, il magico e l’arcaico con la tradizione più antica del pensiero e dell’arte dell’umanità. Infatti, il soggetto eseguito ricorda reperti archeologici di civiltà non ancora decifrate.
Vive della natura, della quale fa parte integrante e la sua scultura “Il fiore di Caorle” pare quasi uscire naturalmente dalla roccia che la racchiudeva. E pure questa apparente facilità è caratterizzata da una complessità di elementi, che coniugano in rapporto diretto la forma e la luce, la geometria e la poesia.
Interessata da sempre all’uomo, ai suoi sentimenti e passioni, ne cerca ciò che c’è al di là. Nella sua figura, dal titolo “Pensiero”, persa nell’intemporalità della natura, ha voluto trasmettere il fascino della Medusa, pietrificata lei stessa dalla bellezza.
Siamo tornati nell’arte figurativa con quest’opera di carattere strettamente marino, che vede una unione quasi amorosa tra due specie di animali marini completamente differenti tra loro.
L’artista sardo ha voluto mandare un proprio messaggio di vita, mediante i simboli della civiltà nuragica (civiltà della Sardegna preromana). I cerchi bronzei appesi ai sugheri rappresentano da sinistra verso destra: il pane, il sole, le stelle, i fiori, l’acqua, la luna, il sesso.
L’inquinamento, l’estinzione, il degrado della natura causato dall’uomo raffigurato dalla rete. Il delfino, simbolo di una natura intelligente, forte, aggraziata, lotta con tutte le sue forze e riesce a strappare la rete. Ma la rete non è rotta del tutto e il pericolo di essere sopraffatti resta, come resta il pericolo che l’uomo distrugga tutto l’ambiente circostante.
Con questo masso l’autore ha voluto lanciare il suo grido d’allarme al mondo per l’estinzione delle specie più deboli. Questi animali pur di assicurare una continuità alla loro specie si accoppiano, pur consapevoli del rischio che i propri nati dovranno sopportare. Lo scultore ha voluto dare un segno di quanta forza può ancora dare l’animale e quindi anche l’uomo per non scomparire, per sopravvivere.
L’idea è nata dal desiderio dello scultore di testimoniare il sentimento di solidarietà tra gli uomini. Sentimento oggi troppo spesso tradito ma pur sempre vero e vivo nella gente di mare. Da questo e per questo, cioè partendo da questa specificità ambientale, l’artista ha cercato di fermare nel gesto di aiuto e soccorso di un adulto verso un bambino in mare, l’immagine del dare vita per la vita. Il concetto del naufrago in mare vorrebbe allargarsi all’universalità degli uomini naufraghi nella vita , troppo soli, troppo persi, spesso indifferenti alla propria vita e a quella degli altri.
La volontà dell’artista era di progettare e scolpire un’opera di un soggetto inerente all’osmosi onirica dell’animale e dell’umano, cercando così di fuggire con la fantasia della realtà. Alla fine però, quest’ultima s’impone, e li trasforma in figure quasi inquietanti che lasciano comunque trasparire nelle tematiche la possibilità di divenire una metamorfosi negativa.
L’autore di nazionalità tedesca ha voluto regalare un ricordo della sua infanzia. Frequentava con la famiglia la spiaggia di Caorle e nei suoi occhi è rimasto il ritratto di un pescatore conosciuto nel momento di rientro dalla pesca quando come tutti i turisti anche lui si recava con il padre e la madre al porticciolo per vedere i pescatori che scaricavano il pesce dalle barche.
L’artista ha voluto incidere nella pietra forme che presentano aspetti dell’osservazione dettata dal gusto della ricerca estetica, forme che trovano confronto e contrasto con la realtà immaginifica che è presente nel modo di vivere e pensare attuale.
Questa scultura va letta ad iniziare dalla parte superiore del masso e dai massi circostanti. I segni ondulati rappresentano la continuità del mare, che è stato nelle ere preistoriche la prima sede di vita e che il fossile (ammonite) rappresenta. Gli occhi dei pesci sono delle sfere che con il cambiar del tempo cambiano colorazione, volute dall’artista perché rappresentano la parte più viva della scultura.
L’autore ha voluto essere partecipe del dramma che ancora oggi colpisce i territori dell’ex Jugoslavia. Questo spigolo di pietra lavorato completamente a mano rappresenta una freccia scagliata proprio in direzione di questo paese per portare un messaggio di speranza a questo popolo.
L’opera rappresenta la nascita di ogni qualsivoglia forma di vita. Il simbolo della terra operata nel masso con una forma liscia e circolare fa uscire una materia fluida, simbolo della vita, che una volta staccatasi dalla madre da vita ad una nuova forma di vita.
Questa scultura rappresenta la nascita e l’evoluzione della vita. Nella parte superiore dell’opera si vede la prima forma di vita rappresentata dal trilobite. Abbassando lo sguardo si vede la forma di vita successiva rappresentata dall’ammonite per passare agli scheletrati espressi scolpendo il pesce per arrivare alla fine con la rappresentazione di un volto umano e chiudere il ciclo evolutivo proprio con la comparsa dell’uomo.
...come i guerrieri Nuragici a difendere l’idea , l’esclusività, la vita, consapevoli che mai nessuna prevaricazione potrà distruggere… L’opera rappresenta la volontà, intesa come qualcosa di innato, d’immortale, che si rafforza rinnovandosi , senza interrompere il collegamento con le proprie radici, di esistere e di resistere. Rappresenta inoltre il calvario e la lotta di un popolo che nessuna dominazione coloniale è riuscita ad assoggettare a schiavitù, che continua ad esistere guardando con occhio critico il mondo attorno, senza mai rinnegare la propria identità culturale.
Nel forno alchemico si fondono l’immaginazione con la volontà di trasformazione. Il cambiamento risultante dalle fasi cosmiche del sole e della luna, del caldo e del freddo, dell’uomo e della donna; interpretando dalla calligrafia della mano dello scultore, dettata dagli utensili, della pietra stessa oggetto di trasformazione; da masso inerme a forma scandita da volumi ispirati dal retaggio culturale.
La rana, animale anfibio che vive tra terra e acqua adattandosi alla materia dell’ambiente, nell’acqua nuota mentre nella terra salta, non cammina, e il salto è inteso come vitalità, gioiosità dell’animale, di noi, verso la vita. La rana è l’artista che si è adattato alla materia su cui ha lavorato.
Rappresenta il percorso immaginario di un fantasma che arrivato dal mare entra ed esce dal masso di pietra lasciando delle tracce come gli scultori che lavorano, modellano, creano l’opera e poi scompaiono lasciando una traccia, appunto come il passaggio del fantasma.
In questa opera astratta è rappresentata la voglia di “uscire”. Qui lo scultore ha inteso raffigurare la nascita di una forma con al centro della pietra, sul lato che rientra, il gene, l’inizio della vita che esce dalla immobilità e cerca di darsi una forma che, per il momento, è ancora indefinita.
L’energia del sole che illumina la scogliera e la riscalda. Il sole ricavato da un altro tipo di pietra più chiaro e più vivo perché centro di vita.
Opera puramente descrittiva, questo cavallo nasce dalla pietra, infatti le zampe non sono ben definite, e ritorna pietra perché anche la criniera e la parte superiore della testa vanno a confondersi con la pietra.
Fuori concorso
Fuori concorso
Ispirato al mare, alla località. Incontro romantico di due persone che in riva al mare si baciano e si amano.
La forza di un saggio che con la mano protesa ferma i tentacoli della forza del male, rappresentata dall’albero e dalla sua manificazione.
Lo scultore ha scelto di lavorare su questo masso perché colpito dalle mille sfacettature di forme e di colori e per questo ha voluto creare un’opera che non richiedesse un grande intervento di scolpitura. La parte centrale cioè la fascia rappresenta il movimento ondoso che è tipico dell’acqua e del suono, e in questo movimento c’è il passaggio di un qualcosa o di un qualcuno, raffigurato con il pesce in alto a sinistra, che vuole attirare l’attenzione, e l’orecchio che cerca di capire cosa sia l’ascolto di un movimento.
In questa opera si nota subito il messaggio che ha voluto lanciare l’autore: la forza. La forza espressa con le creste del mare, nella parte alta della pietra, che si infrangono sulla roccia, il mezzobusto dell’uomo, al centro del masso, che con la propria forza resiste.
La musicalità dell’ambiente. Con queste parole l’autore ha voluto spiegare in sintesi la sua opera. Le ondulazioni che rappresentano una melodia, una serie di composizioni musicali che tendono ad aprirsi con leggerezza. La parte alta è dedicata alla musicalità dell’acqua come il suono e le curve della viola, nella parte media e nello spigolo destro ci sono la melodia e lo strumento che la produce, il pianoforte, e poi nella parte bassa a sinistra, raffigurati in due sporgenze, una tromba ed un trombone.
Questo naif racconta una favola e, per poterla raccontare, lo scultore ha usato due pietre. La storia narra di un veliero, raffigurato dalla polena sulla parte sinistra e in alto dello scoglio, che partito da Caorle tra la festa della gente, in alto a destra (la festa è rappresentata dal sole), si trova a dover combattere contro dei pirati che sbucano dall’orizzonte del mare, parte bassa della roccia, che vogliono sottrarre il tesoro, raffigurato da una perla ricavata sul secondo scoglio, mentre invece il capitano con il braccio proteso tra i due massi cerca di afferrare.
Qual’è l’abitante degli scogli per antonomasia? La sirena. Ecco allora che l’autore ha voluto dare alla scogliera di Caorle un abitante, per renderla viva e non un ammasso di pietre morte ed immobili.
Reperto scavato. Per poterlo riportare alla luce l’artista ha dovuto scavare nella roccia: questa testa di romano con elmo e lance che rappresenta la ricerca dell’uomo per il passato, e per le proprie origini.
Anche qui l’autore ha voluto giocare con le dimensioni, la formazione e la composizione del masso. L’artista non ha voluto rappresentare un animale in particolare, ma un animale “fantastico” di era preistorica.
L’autore ha voluto colpire il visitatore in maniera violenta. Infatti l’espressività del volto, se pur astratto, è molto dura con gli occhi stravolti e la bocca che urla la disperazione della tragedia di una madre che vive la morte del figlio nel tragico conflitto yugoslavo.
Qui l’artista ha dato vita alla sua opera lavorando su due corpi di pietra. Anche qui un omaggio alla popolazione caorlotta, ma non a chi vive il lavoro in prima persona, bensì alla moglie, raffigurata nella pietra di sinistra, che aspetta il marito pescatore di ritorno con la propria barca, raffigurata nella pietra di destra.
In questo masso di difficile lavorazione per una serie di venature particolari si coglie un facile messaggio: l’amore e la sofferenza. L’amore rappresentato dall’unione dei due gabbiani che si abbracciano con le loro ali e la sofferenza di chi li guarda forse invidioso proprio del loro amore. I gabbiani liberati al centro dello spazio e, la sofferenza condannata nel basso.
Quest’opera è un omaggio all’antico e pur sempre attuale mestiere del pescatore di Caorle. Essa rappresenta appunto un pescatore che, dopo la raccolta delle reti, si dirige verso casa con la propria barca, la sproporzionalità della figura dell’uomo è simbolo dell’importanza dello stesso nei confronti della natura che lo circonda.
Qui siamo difronte ad un messaggio molto chiaro ed inequivocabile. Le persone inneggiano con le mani al cielo in segno di esaltazione della libertà e della vita. Vi è un esplicito richiamo all’attuale situazione di lotta dei popoli dell’ex Jugoslavia.
L’autrice si cimentava per la prima volta nella lavorazione della pietra, e per questo non ha voluto “violentarla” più del necessario. Rappresenta il pianto di un profugo (testa nella parte alta e destra) abbracciato da un amico (parte centrale della pietra) con una terza persona che guarda indifferente la scena (testa nella parte bassa e centrale).
Ancora un’opera astratta. In questa, però, l’autore ha voluto mettere in risalto la tensione della pietra sviluppando verso l’alto le tre striature presenti nella parte bassa del masso.
Questa opera astratta vuole esprimere la crescita di tre forme indefinite che pur essendo divise dalla natura, rappresentata dalla pietra che per l’appunto le divide, riescono a svilupparsi.
Come si può capire dal titolo, questa scultura si rifà alla storia di Prometeo. Egli dopo aver rubato il fuoco degli dei, fu legato ad una roccia da Giove. Anche qui lo scultore ha voluto trasportare la forza del masso nella persona mitica senza voler cambiare molto dell’aspetto originario del masso stesso.
La conchiglia come rappresentazione della natura marina in onore al luogo dove è stata scolpita, ma ancor più “natura” perché ricavata da un masso che aveva gran parte della fisionomia attuale.
Rappresenta un fondale marino, nella parte superiore una conchiglia che racchiude una stella marina simbolo della bellezza del mare
Fuori corso